IL DIARIO DI FELICE

Le pagine di questo diario narrano le vicissitudini di un rizzutaro vissuto nella prima metà del novecento: Felice Rizzuto .

Felice, nonostante il modesto livello d’istruzione e l’incertezza nello scrivere (egli stesso racconta che nel tempo in cui avrebbe dovuto andare a scuola suo padre lo portò con sé a lavorare) riesce, comunicando le tribolazioni patite, a coinvolgere il lettore e altresì  a lasciare intravedere, attraverso la descrizione delle sue ansie e delle sue tristi vicende, il mondo di miseria e di ristrettezze della realtà contadina dell’entroterra calabrese del  recente passato.

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Felice clicca sull'immagine

Questo diario è oggi custodito dalla figlia di Felice, Fiorina Rizzuto, la quale ritenendo di rispettare la memoria e la volontà del padre lo ha segnalato a questo sito per  consentirne la pubblicazione.

   

La seguente LIBERA TRASCRIZIONE DEL DIARIO, qui riportata per far sì che la lettura  del testo sia più agevole,  

è stata realizzata dal raffronto tra il diario originale ed una sua copia effettuata nel Maggio dell’83 dall’allora quattordicenne Nadia Maletta, pronipote di Felice.

 

Parte prima

Dovete sapere che da fanciullo sono stato sfortunato: quando  avrei dovuto andare a scuola mio padre mi condusse con sé all’estero dove mi mandò a lavorare in qualità di "boccio" sulla strada della ferrovia. Io solo so quanto ho patito, comunque è passato.

Diventato un giovinetto tutti mi ammiravano e mi volevano bene, ma un giorno, quando avevo 14 anni, è finito il lavoro e così mio padre e mio zio decisero di ritornare in patria. Io non avrei voluto lasciare quella terra ma mio padre volle portarmi con sé. Quando giunsi a casa fui comunque contento di riabbracciare mia mamma e mio fratellino più piccolo.

Ma la serenità durò poco, sentite, infatti, cosa successe un brutto giorno del 1915 .

Quella mattina io e mio padre eravamo impegnati in alcuni lavori vicino la nostra  casa, giunto mezzogiorno  la povera mamma , che aveva come sempre preparato il pranzo nonostante la precedente notte fosse stata molto male, ci chiamò e  così dopo essere rientrati a casa ed aver mangiato nella grazia di Dio, ignari di quello che stava per accadere,  tornammo nuovamente fuori a lavorare. Passata circa un’ora mio padre rientrò in casa e trovò mia madre morta bruciata, la poverina si era sentita nuovamente male ed era cascata nel fuoco. La terribile e improvvisa perdita della mia adorata mamma ci lasciò increduli e straziati dal dolore.

Dopo 3 mesi mio padre, credendo di fare cosa buona, prese nuovamente moglie, ma purtroppo con questa sua decisione ha rovinato  l’esistenza a me e al mio fratellino, questa donna, infatti,  non volendoci bene cominciò a maltrattarci.

Io lavoravo dalla mattina alla sera e consegnavo a casa tutto quello che guadagnavo, ma lei non era mai contenta,  non mi lavava la biancheria e quando andavo a lavorare non  mi dava neanche una “salvietta” per mettervi il pane, tant’è vero che un giorno la moglie del mio datore di lavoro ebbe pietà di me e mi regalò un tascapane.

Una volta poiché ero rimasto senza scarpe chiesi a mio padre se poteva procuramene un paio nuovo e così dopo che egli mi disse di sì e mi diede i soldi mi recai da un calzolaio per farmele fare. Dopo qualche giorno il calzolaio mi chiamò per dirmi che le scarpe erano pronte ma che occorrevano ancora alcune lire per comprare e sistemare  i tacchi. E così andai nuovamente da mio padre per riferirgli ciò. Non l’avessi mai fatto! Mi aggredì dicendomi che avevo tenuto per me i soldi che mi aveva precedentemente dato e che ormai era tempo che io provvedessi da solo ai miei bisogni, insomma quelle poche lire non volle darmele. Figuratevi la mia mortificazione e la mia rabbia!

In ogni modo, qualche giorno dopo, quando presi le 60 Lire di paga trattenni 10 Lire per comprarmi i tacchi e le rimanenti 50 Lire le portai come al solito a mio padre, ma lui le rifiutò dicendomi:

-   Non li voglio i tuoi soldi, io le braccia ce l’ho e non ho bisogno di te

Capii che dietro queste parole c’erano i consigli di sua moglie.

Dal momento  che mio padre non volle più la mia paga mio zio mi consigliò di non sciuparla e così la diedi a lui affinché me la conservasse.

Mio padre forse si era pentito di quello che aveva detto e credo che soprattutto gli dispiaceva di darmi ancora quel poco di pane la mattina quando andavo a lavorare, ma io continuavo a prenderlo perché ritenevo di essermelo guadagnato con il mio lavoro.

Una sera la mia matrigna, visto che il giorno dopo era il 3 Dicembre,  festa di S. Barbara, chiese a me e a mio fratello se l’indomani saremmo dovuti andare a lavoro, io, pur sapendo che la ferrovia dove lavoravo restava ferma, per semplice burla, risposi sì, mentre mio fratello che lavorava sulla rotabile e non avrebbe avuto vacanza, sempre per scherzo, disse no.

Di conseguenza successe che mio padre e la mia matrigna, quando al mattino presto udirono mio fratello che si alzava pensarono che fossi io che mi stavo preparando per uscire e così poco dopo, quando sentirono la porta chiudersi  e  furono sicuri  che a casa era restato solo mio fratello che, fra l’altro, aveva  il sonno pesante e difficilmente li avrebbe sentiti, si misero a parlare contro di me.

Fu mio padre che cominciò dicendo:

- è andata a finire che si tiene la moneta e  continua a prendersi il pane di casa mia

- Non ti preoccupare caro, - rispose la moglie - per  il momento lasciamoglielo prendere, la prossima volta faremo il pane con la farina di castagne che a lui non piace e così lo costringeremo a comprarselo fuori insieme alle altre cose

Sentendo tutto questo avrei voluto alzarmi subito per svergognarli  ma, non so se fu la mano di Dio che mi trattenne, mi sentii afferrare per i capelli e caddi in un sonno profondo.

Più tardi quando mi alzai e la mia matrigna, che stava preparando la colazione per mio padre, vide che ero  in casa cambiò di colore e subito per camuffare l’imbarazzo mi chiese se anch’io volessi qualcosa da mangiare. A questo punto io, che sino a quel momento ero stato in silenzio esplosi dicendo:

- Adesso mi invitate a colazione ma questa notte assieme con mio padre non avete deciso di chiudermi il pane? Forse io non me lo sono guadagnato lavorando? Pensate che non abbia sentito!

Lei subito reagì dicendo che non era vero e che avevo sentito male. La rabbia che provai mentre negava ciò che avevo udito con le mie orecchie che allora funzionavano perfettamente fu così grande che ghermii  un’arma per finirla. In quell’istante,  improvvisamente, arrivò mio zio che levandomi l’arma dalle mani mi disse:

 - Cosa fai, sei  impazzito?

E mentre io gli spiegavo le mie ragioni entrò mio padre ma lui non parlò.

Da allora vissi in quella casa come un estraneo  la sera, quando rientravo dal lavoro, mi chiudevo subito nella mia stanza senza parlare con nessuno.

Finalmente venne la chiamata alle armi per servire la patria, io da parte mia fui contento  perché in quella casa ormai non avevo più affetti, unico cruccio era di lasciare il mio povero fratellino solo a patire umiliazioni e maltrattamenti, figuratevi che lo facevano dormire nella stalla. Al momento della partenza egli mi comunicò che non ce la faceva più a vivere in quella casa dove era continuamente maltrattato ma io baciandolo gli dissi di resistere ancora un po’ perché era ancora troppo piccolo per vivere da solo.

Arrivato al mio reggimento, poiché c’era la guerra, vi rimasi 11 mesi come richiamato ma grazie a Dio nel momento in cui quelli della mia classe avrebbero dovuto partire per il fronte fu fatta la pace. Così dopo un po’ ci dettero la licenza e andai a casa per 9 mesi. Mi misi a lavorare di nuovo  per guadagnarmi da vivere finché venne un'altra volta  la chiamata. Partii con l’intenzione di finire presto il militare per poi  andare all’estero ma non mi riuscì,  sotto le armi infatti ho perso l’udito e nonostante avessi passato ben 5 volte la visita non sono riuscito ad avere alcun riconoscimento, finalmente dopo 34 mesi di servizio militare fui congedato  con tutti quelli della mia classe.

Giunto a casa ricominciai a lavorare  e poiché ero solo e vivevo in maniera disagiata, mi venne in mente di sposarmi ma non avevo abbastanza soldi  e nessuno che mi aiutava.

Un giorno mi chiamò mio zio e mi parlò di una ragazza che stava discretamente  in quanto aveva ereditato la casa di suo padre che era morto, io accettai e così la mia vita cambiò; ci amavamo di cuore e un bel giorno dell’anno 1922, grazie  anche alla mia promessa sposa che affrontò gran parte delle spese che occorrevano per il  matrimonio, ci sposammo. 

Ci siamo voluti molto bene ed io le sarò sempre riconoscente per la pazienza e per tutte le premure che ha avuto per me. Unico mio dispiacere è stato quello di non esserle potuto stare sempre vicino, poiché per andare alla ricerca di un lavoro che mi consentisse di portare avanti la famiglia sono stato costretto ad allontanarmi spesso da casa. 

Non so se ricordate la mia intenzione di andare all’estero per cercare un po’ di fortuna, ebbene un giorno sembrava proprio che questo mio desiderio stesse per realizzarsi. Una mia parente, infatti, aveva predisposto tutte le carte per far partire me ed un mio zio, ed io fiducioso avevo affidato a quest’ultimo tutti i miei documenti  da inviare a Napoli per regolarizzare la mia pratica, ebbene sapete che successe? Al momento della partenza a quel mio zio concessero il visto mentre a me no in quanto quei miei documenti non furono mai spediti! Cari lettori ricordate che non bisogna mai fidarsi di nessuno perché “chi si fida degli altri disperato rimane”.  

Così rimasi nella mia terra dove ho continuato a girovagare a destra e a manca nella disperata ricerca di un lavoro che mi permettesse di mantenere la mia numerosa  famiglia di sette persone.

Cosenza 27 Novembre 1930

Attualmente sono a Cosenza dove lavoro ma guadagno poco e non riesco a mettere 100 lire da parte, unica mia consolazione è che la sera non sono più solo in quanto sono venute a vivere qui con me mia moglie e le mie figlie.

Parte seconda

Come ricorderete, all’inizio di questo diario, vi avevo parlato di un fratello minore che da quando morì nostra madre, essendo ancora molto piccolo, ho sempre cercato di proteggere e aiutare anche procurandogli del cibo.

Purtroppo crescendo aveva preso il vizio di bere e talvolta sotto l’effetto dell’alcol si era mostrato insofferente ed aggressivo verso di me ed i mie ammonimenti.

Finalmente il 28 luglio 1931 anch’egli si è creato una famiglia e spero che con una piccola casa, un po’ di roba ed una bella ed onesta sposa  possa vivere sereno e soprattutto mi auguro che finalmente segua i mie buoni consigli e non si ubriachi più.

Io vivo sempre a Cosenza e sto attraversando un bruttissimo momento: con la mia misera paga non riesco più a portare avanti la famiglia e come se non bastasse ho preso anche la malaria. Sono disperato e non so proprio come va a finire, speriamo che al più presto qualcosa cambi. Che almeno non mi ritornasse più la febbre!

Parte terza

Preso dallo sconforto decisi di ritornare al mio paese  e così dopo aver accompagnato mia moglie e le mie figlie a casa mi sono rimesso in marcia alla ricerca di un lavoro . Ma ahimè! Non sono riuscito a trovare nulla anche perché tutti i cantieri erano fermi a causa del cattivo tempo e così sono tornato indietro. Ero disperato, la testa mi girava, la casa era sprovvista di tutto e  non sapevo cosa fare per la nostra sopravvivenza. Finalmente passò l’inverno e mi misi a zappare un po’ del mio orto. Sarei voluto andare a coltivare la terra in Sila ma le forze e i mezzi mi mancavano non sapevo quale decisione prendere.

Un giorno venne mia suocera a riferirmi se volevo andare a coltivare il podere del medico che era rimasto senza colono. Io, visto che il fondo era molto grande, chiesi la collaborazione di mio fratello e così tutti e due assieme senza riflettere ulteriormente accettammo l’incarico. Purtroppo mio fratello dopo tre mesi mi lasciò e così restai a lavorare da solo per due anni. Con la speranza di poter viver meglio faticavo giorno e notte senza tregua, ma il raccolto andò male e la stessa cosa si ripeté l’anno successivo. Durante questo periodo il padrone mi aveva fatto vari prestiti e così una volta facendo i conti mi accorsi di aver sacrificato la mia vita per cumulare 1300£ di debito!

Un giorno ero andato a prendere un po’ di patate che avevo piantato a Rizzuti e con il sacco sulle spalle mi ero diretto verso la ferrovia per far ritorno a casa quando improvvisamente arrivò il treno e quasi mi investì, restai salvo per un miracolo di Dio che mi protesse.  

Parte quarta (Settembre 1935  nascita di mio figlio Francesco - 1936 inizio di una vita migliore)

 Dopo aver consegnato tutto e lasciato il padrone, ritornai a casa e mi misi a zappare con lena  la mia terra per dar  da mangiare alla mia famiglia, ma purtroppo i viveri non bastavano mai, eravamo ridotti all’estremo della miseria. Per un povero padre era terribile vedere i propri figli patire la fame, chiedevo 5£ e nessuno me le dava, cercavo un pezzo di pane e me lo rifiutavano, credevo d’impazzire. Arrivò così il mese di Luglio e un bel giorno inaspettatamente  scoprì che grazie a quel  mio povero orecchio sordo, di cui avevo accennato all’inizio del diario, ero in possesso di un libretto di lavoro con 446 marche che mi permise di percepire una pensione di  invalidità. Mi sembrava di vivere in un sogno! Quel giorno che resterà per me indimenticabile mi sembrò di passare dalla morte a nuova vita.

Ora con questa pensione e lavorando un po’ di terra spero, con la grazia di Dio, di pagare tutti i miei debiti e di non far mancare più il pane a mia moglie, ai miei figli ed in particolare  al mio piccolo Francesco  che da quando è nato non l’ho mai potuto accontentare in niente.

 

 

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